A me l’onorato compito di scegliere il nome dell’Associazione.

Capita spesso di avere molte idee per la testa e di non sapere quale sia la più adatta. E’ un po’ come quando ti nasce un figlio, devi scegliere il nome più giusto per lui… che impresa, se penso a quanti non vorrebbero avere il nome che si ritrovano!

Ebbene, è successo esattamente come per mia figlia, poteva chiamarsi solo in un modo.

Così questa Associazione non poteva chiamarsi che STRATOS, come Demetrio, grande ispiratore di suoni, canti, ricerche profonde. Forse per il desiderio di poter pronunciare questo nome, per poterlo rendere vocalmente  più presente, più immortale. Forse perché non conosco nulla più  della sua produzione, della sua ricerca capace di liberare la voce da qualsiasi legame, da inutili strettoie, nulla di più autentico per scioglierla dalla cristallizzazione accademica.

Stratos rovescia la didattica e la tecnica vocale e tenta anche di ribaltare i dettami nel campo della fisiologia. Attraverso lo studio della modalità canora dei popoli asiatici, le tecniche acquisite e gli studi del Cnr di Padova, Stratos libera la voce da qualsiasi tecnica incatenante. Emette doppi, tripli, qualora quadrupli suoni simultanei. Le corde vocali vengono finalmente riconosciute anche in occidente come strumento musicale, il più antico e forse per questo il più dimenticato. La sperimentazione, la ricerca che Stratos fa va però anche oltre il concetto di ‘strumento voce’. La sua opera si sviluppa considerando l’universo vocale dal punto di vista scientifico, psicoanalitico ed etnomusicologico.

“Oggi si parla della voce come di uno strumento difficile da suonare ma contrariamente a qualsiasi altro strumento che può essere riposto dopo l’uso, la voce non si separa mai dal suo proprietario e quindi è qualcosa di più di uno strumento. L’ipertrofia vocale occidentale ha reso il cantante moderno pressoché insensibile ai diversi aspetti della vocalità isolandolo nel recinto di determinate strutture linguistiche. E’ ancora molto difficile scuoterlo dal suo processo di mummificazione e trascinarlo fuori da consuetudini espressive privilegiate e istituzionalizzate dalla cultura delle classi dominanti.” (Demetrio Stratos- Metrodora, 1976).

E’ così che ci si permette di RISCHIARE. E’ così che saltano tutti i registri ed il suo canto raggiunge nell’estremo acuto i 7000 Htz.

Daniel Charles ha scritto di Stratos come colui che ha polverizzato la monodia, demoltiplicando lo specchio acustico: giungendo ad una diplofonia, che è triplofonie, addirittura, quadrifonie.

“Io mi offro come cavia per fornire tecniche sul mio strumento, la voce senza chiedermi se devo vendere 20000 dischi o prendere tre milioni a sera andando in  giro a cantare”

La musica di Stratos può apparire ‘scomoda’ da sentire perché non si può che Ascoltare. Il  potere evocativo, rappresentativo, regressivo della sua produzione musicale non la rende facilmente   fruibile nei supermercati, in macchina o dal dentista. Ci si trova di fronte ad  un suono che spesso inquieta giacché per essere prodotto va a muovere corde (in qualità di strumento) che usualmente non vengono toccate e per di più con modalità inusuali e poco riconoscibili dal punto di vista ‘estetico’.

Basta pensare alla ricerca di Stratos nel campo della poesia fonetica e sperimentale e a quanto questo allarghi il campo musicale anche al ‘parlato’, al ‘recitato’ al ‘comunicablile’ umano.

E per quanto questo possa sembrare un ‘prodotto’ destinato solo a pochi, l’idea fondante di Stratos è esattamente all’opposto. Secondo lui, infatti, dobbiamo liberarci dalla condizione di ascoltatori ‘mummificati’ e mirare a cercare un ascolto attivo , un ascolto nuovo, creativo che non si focalizza esclusivamente sull’ascolto attento dei suoi eccezionali giochi di prestigio e nel riconoscervi un’eccellenza vocale. Questo ascolto richiama la sperimentazione di una voce che ritorna alle origini e diventa un qualcosa da vivere integralmente.

“Se una nuova vocalità può esistere, dev’essere vissuta da tutti e non da uno solo: un tentativo di liberarsi dalla condizione di ascoltatore e spettatore cui la cultura e la politica ci hanno abituato. Questo lavoro non va assunto come un ascolto da subire passivamente (Stratos, Metrodora, 1976) ma come un gioco in cui si rischia la vita” (J.J. Lebel)

 

Donatella Bellomo