Quando in Musicoterapia si parla di contesto-non verbale o luogo magico ci si riferisce all’utilizzo e al recupero di tutti gli elementi a disposizione dell’uomo per comunicare, che spesso perdono forza o vengono sottomessi al codice utilizzato nella lingua di ogni Paese.

Il cinema del regista coreano Kim-Ki-Duk, già con il precedente “Primavera, Estate, Autunno, Inverno … e ancora Primavera” , ci aveva condotto a ritroso in un luogo lontano dalla civiltà dove il ciclo della vita è scandito seguendo il ritmo delle stagioni e dove l’incontro voluto o forzato tra uomo e natura diventa veicolo di un messaggio di grande forza interiore e fisica allo stesso tempo.

In “Ferro 3” solo apparentemente cambia l’ambientazione, più vicina al nostro quotidiano: un giovane passa la sua esistenza abitando case altrui in assenza dei proprietari. Prepara da mangiare, si fa il bagno, dorme, scatta foto di sè nella casa. Non lascia l’appartamento però senza aver lavato e steso il bucato e aver riparato gli oggetti non funzionanti. Tutto ciò fino a quando in una casa avviene l’incontro con una donna ricca e infelice che decide di seguirlo..

Questo è solo il plotter, anche perchè chi non ha visto il film può  godersi i risvolti sorprendenti, nonchè l’epilogo bellissimo e geniale come raramente capita in questi ultimi anni dove il finale non sempre è all’altezza dello sviluppo della storia.

Ferro 3 rappresenta l’ennesimo esempio di come il cinema orientale sia in grado di raccontare senza essere imprigionato negli stereotipi del quotidiano (cinema europeo), tantomeno dai modelli convenzionali hollywoodiani, con il merito di affrontare temi comuni attraverso storie mai raccontate, usando altri punti di vista.

La sceneggiatura del film sapientemente scritta soprattutto con i silenzi, riempie di significato simbolico ogni immagine e la forza delle immagini si fonde nell’interazione tra suoni, gesti , parole, che sono presenti e mai prevalenti.

Questa caratteristica già segnalata nei film di kim-ki-duk offre allo spettatore un impatto forte con le immagini  e con il messaggio, in quanto la comunicazione arriva con più canali di approdo e l’idea iniziale è meno sottoposta a filtraggi culturali o istituzionali, svincolandosi da linguaggi standardizzati, non svuotandosi di significati, nè scadendo nell’ovvio.

Inoltre è da segnalare che questo equilibrio nei codici comunicativi utilizzati, rende il film carico di una musicalità costante per tutta la sua durata. Quest’opera che oscilla perentoria tra il fisico e il metafisico è da consigliare in particolare a chi opera in musicoterapia ed è alla ricerca di un codice per  instaurare una relazione secondo una modalità sonora e silenziosa.

Fabio Buccioli